Scrivo di mafia da anni, eppure, ogni volta che prendo carta e penna per dare spazio alle parole, mi pervade sempre il medesimo senso di inquietudine. Un’inquietudine che non nasce dalla paura di affrontare l’argomento, ma dal timore di non essere in grado di mettere in risalto con la giusta delicatezza e il dovuto equilibrio interiore, le problematicità che accompagnano lo studio e l’osservazione del fenomeno mafioso. Un fenomeno mafioso che, negli ultimi trent’anni ha cambiato volto e che, pertanto, è diventato più difficile da analizzare perché più difficile è divenuto delinearne i lineamenti e decifrarne lo sguardo. Uno sguardo che ha imparato a nascondere la sua efferatezza e a non palesare la sua ferocia, la sua violenza, ma non per questo meno pericoloso. Una pericolosità che, ad un osservatore attento, è ben visibile perché tende a minare le fondamenta della nostra società e del nostro vivere civile.
Una società che, attualmente, è ancora ancorata ai vecchi canoni del sistema mafioso e che pertanto non riesce a leggerne e interpretarne le dinamiche. Dinamiche che si sono evolute nel tempo e che le hanno consentito di cambiare pelle e di mimetizzarsi perfettamente all’interno di quei contesti che reputiamo indenni da quel marciume che si porta dietro.
Eppure non è così!
La mafia, le mafie, sono più vive e attive che mai!
Hanno semplicemente modificato il loro modo di esplicitarsi. Sono guidate, come direbbe il giudice Giovanni Falcone, da “menti raffinatissime” che hanno spostato i loro interessi in tutti quei settori che gli hanno consentito di accrescere il loro potere economico e politico senza sporcarsi le mani di sangue. La nuova mafia, le nuove mafie, le mafie dei “colletti bianchi”, non sparano. Loro, “semplicemente”, corrompono, colludono, convivono, ma non sparano perché, se sparano, loro lo sanno, attirerebbero l’attenzione delle forze dell’ordine e della parte sana della società. Una società che, invece, deve rimanere all’oscuro di quei giochi di potere che, inconsapevolmente, influenzano il loro esistere. Un esistere che va salvaguardato, protetto, difeso, tutelato.
Per questo è importante parlare di mafia.
Solo se ne parliamo, se impariamo a conoscerne le dinamiche e non abbassiamo la guardia saremo in grado di fornire alle generazioni future, ai cittadini del futuro, gli strumenti necessari per interpretare la realtà e a viverla secondo principi sani alla cui base c’è l’onestà. Principi che devono essere a fondamento del nostro vivere civile e che non devono mai essere persi di vista perché da essi dipende la nostra conquista più grande: una società dalle fondamenta ben salde. Ed è questa la conquista di chi, seppur con difficoltà, non smette mai di lottare contro ogni politica di sopraffazione e resiste. Resiste alle intemperie della vita e, come il fiore di loto, pur affondando le sue “radici” nel fango, lotta con forza contro le avversità e prospera.
Credits © Catena Cancilleri
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Catena Cancilleri nata nel 1974, siciliana, vive a Parma dove lavora come educatrice. Laureata in Filosofia, ha esordito con il saggio Andrea Camilleri e il romanzo storico in Italia: a proposito de “Il re di Girgenti” (Tracce, 2005). Per Nulla die ha pubblicato le raccolte di racconti Di famigghia (2015), Barricate (2018) e Dicotomie e 41 bis (2020).