

Non ho mai creduto nella diversità, come non ho mai creduto che il colore della pelle potesse essere sinonimo di diseguaglianza sociale o emotiva.
Forse perché ho avuto dei genitori che, sin da bambina, mi hanno educata all’accoglienza o forse perché, semplicemente, per indole, ho sempre cercato di eliminare quelle forme di sovrastrutture che, per ignoranza o non conoscenza, abbruttiscono l’Uomo.
Ciò non significa che io mi senta e mi veda migliore degli altri, anzi. Conosco molto bene i miei limiti e, crescendo, sto imparando a conoscere le mie brutture. La conoscenza di se stessi e dei propri paletti interiori richiede un lavorio non indifferente e non sempre si è capaci di rielaborare quei comportamenti che ci inducono a rivedere noi stessi e il nostro rapporto con gli Altri. Eppure questo lavorio va fatto se vogliamo educare ed educarci ad una società migliore.
“Educare ed educarci” non significa apprendere passivamente nozioni e concetti quali libertà, tolleranza, apertura (mentale) o larghezza di vedute. ma significa accogliere, accettare, ridisegnare noi stessi in prospettiva degli Altri. Altri che non sono diversi da Noi ma reciproci a Noi perché arricchiscono il nostro bagaglio personale. Un bagaglio che non sarà mai vissuto come un pesante fardello ma come bellezza perché sinonimo di conoscenza, di arricchimento culturale ed emotivo, di crescita personale, di estensione affettiva. Scrivo “estensione affettiva” perché solo così può essere definita quell’emozione interiore che ti induce a rimodulare i tuoi pensieri verso l’Altro e a trasformarli in sentimenti che divengono dialogo empatico volto all’accoglienza.
Solo se siamo capaci di accogliere e accettare gli Altri saremo in grado di iniziare un percorso, un cammino, che ci porti verso la pace vera, quella in cui non esiste nessuna forma di discriminazione, nessun paletto interiore, nessun mancato dialogo, nessuna appartenenza fittizia, nessun colore della pelle. La pelle, ricordiamolo sempre, è solo un ammasso di cellule che, nel tempo, si sono adattate all’ambiente. Ed è l’ambiente che, sempre nel tempo, ci ha indotto ad evolverci, a trasformarci gradualmente e a renderci apparentemente diversi gli uni dagli altri. La diversità, ricordiamolo, è solo esteriore. Tutti, ma proprio tutti, apparteniamo allo stesso genere di primati della famiglia degli ominidi. Può cambiare il nostro colore della pelle, il nostro colore degli occhi, la nostra struttura fisica, la nostra cultura, ma tutti siamo accomunati da un elemento che ci rende tutti uguali: il nostro essere uomini.
Sta a noi, solo a noi, cogliere questa sfumatura e renderla nostra per far sì che le diseguaglianze razziali divengano una fonte da cui non vogliamo attingere acqua…
Credits © Catena Cancilleri
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