Strage di Capaci e non solo
Strage di Capaci
Sono giorni di grandi riflessioni.
Spulcio le “mie carte” e mentalmente ripercorro eventi ed episodi ce hanno contrassegnato la storia del nostro Paese ma anche il mio sentire antimafioso. Un sentire che non nasce il 23 maggio 1992 con la strage di Capaci e la morte del giudice Giovanni Falcone ma molto prima. Eppure quel tragico evento, quella violenta deflagrazione, ha acuito il mio dolore di siciliana onesta e mi ha indotta a confrontarmi con la mia sicilianità, con la mia identità isolana e, soprattutto, con la mia coscienza. Una coscienza che con forza ha reclamato un ascolto più attento, più critico e allo stesso tempo più sensibile verso quella piaga sociale comunemente definita mafia. Una mafia che quel 23 maggio 1992 si è manifestata al mondo in tutta la sua inumana barbarie e che, con una crudeltà indicibile e inaudita, ha palesato il suo aperto attacco allo Stato.
Il mio post 23 maggio 1992
Da quel momento niente è più stato come prima perché nonostante la rabbia, il dolore, lo sbigottimento, non ho potuto non guardare negli occhi la realtà e fare i conti con il mio essere siciliana. Una siciliana che non poteva non accogliere quella violenza e custodirla per farla divenire azione di contrasto nei confronti di quelle associazioni criminali e criminose che sino a qualche anno prima venivano ancora considerate forme di delinquenza spicciola. Eppure di spicciolo le mafie non hanno proprio nulla e quel giudice, assieme ad altri giudici e ad altri membri delle istituzioni hanno dimostrato, grazie anche alle confessioni di quello che è stato definito il primo pentito di mafia (Tommaso Buscetta), che la mafia è un’organizzazione criminale ben strutturata. Ed è grazie alla sua struttura che la mafia si è insinuata nei gangli vitali della nostra società.
Il dopo strage
Una società che arranca, che continua a fare i conti con questo fenomeno delittuoso che, a distanza di ventinove anni da quella fatidica deflagrazione che mise in rilievo la guerra aperta tra Stato e mafia, seppure abbia cambiato pelle e modalità di azione continua a proliferare e prosperare non soltanto nel Meridione, ma in tutte quelle regioni in cui c’è prospettiva di ricchezza.
Non è un caso che le mafie si siano spostate sempre più a Nord. Un Nord che, ammettiamolo, le ha accolte e ha dato loro terreno fertile per continuare a crescere e alimentare la loro sete di potere. Un potere che non è stato acquisito con l’uso della violenza ma in maniera più subdola, perché subdole sono le dinamiche delle mafie dei colletti bianchi. “Colletti” che non sparano, che non fanno uso delle armi, ma che dietro la candidezza delle loro camice griffate e ben stirate nascondono la sozzura dei loro loschi affari. Affari che hanno il sapore acre e amaro della sconfitta, perché sconfitta è tutto ciò che percorre i sentieri dell’illecito…
Credits © Catena Cancilleri
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