

Amo scrivere, come amo dar voce ai miei pensieri che, nel momento in cui arrivano sulla carta, trovano concretezza e mi aiutano a definire i contorni degli eventi e delle emozioni che mi attraversano.
Non sempre le emozioni sono positive e non sempre rimangono emozioni. All’atto dello scrivere, sovente, quelle emozioni si trasformano e divengono sentimenti che difficilmente riesco a controllare perché mettono in luce eventi e situazioni che non dovrebbero brillare. Eppure quegli eventi brillano e mi inducono a scontrarmi con una realtà che aborro, che rifiuto, che condanno, perché inaccettabili sono i contenuti che mi arrivano. Contenuti che mettono in risalto una società malata e in balia di fenomeni criminosi che trovano ancora spazio per poter agire e poter proliferare.
Se le mafie proliferano è perché ci ritroviamo all’interno di una Nazione in cui le sue istituzioni non sono capaci di contrastarle con efficacia. Un’efficacia che ai suoi cittadini è dovuta perché da essa dipende il suo benessere. Un benessere che, diciamolo pure, non abbiamo perché ancora troppo grande è la fetta di potere che detengono le mafie. Mafie che, a differenza di un ventennio fa, non sparano ma che sono ancora in grado di influenzare le vite dei nostri imprenditori e della nostra economia. Un’economia che spesso arranca, barcolla, vacilla, perché gli imprenditori si devono confrontare non tanto con la sana competizione del mercato, ma con gruppi criminali che, in cambio della loro “protezione”, gli chiedono una fetta della loro fatica, del loro sudore, del loro lavoro. Un lavoro che si sono conquistati con sacrificio perché è sacrificio portare avanti un’azienda e renderla rigogliosa.
Ed è un pugno nello stomaco, per un imprenditore, constatare che mentre tu cresci e finalmente raccogli i frutti del tuo lavoro qualcuno quantifica i tuoi guadagni e ti chiede “la messa a posto”.
Proprio così! La “messa a posto”!
Come se loro avessero faticato assieme a te e avessero diritto di godere dei tuo guadagni!
Come se loro avessero investito insieme a te sulla tua azienda e adesso avessero il diritto di beneficiare dei tuoi profitti.
Come se loro ti stessero concedendo un servizio che tu hai chiesto e adesso reclamassero la retribuzione che gli spetta.
Ma tu questo servizio non l’hai chiesto, come non hai chiesto la loro “protezione”: il pizzo.
Eppure sei costretto a pagare, perché se non paghi, se non “ti metti a posto”, sai già a priori che, dopo alcuni avvertimenti “pacifici”, passeranno alle azioni. Azioni che metteranno in pericolo la tua azienda, la tua famiglia, te stesso. E saranno soltanto due le strade che potrai percorrere: soccombere o denunciare…
Credits © Catena Cancilleri
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